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Buccafusca, legnami
da 10 generazioni
ricerche
storiche di Massimo Tricamo, ricerche anagrafiche di Giovanni Lo Presti
Qualche mese fa l’archivio
del nostro piccolo Museo ci regalò una gradita sorpresa. Un atto risalente al
1727 che documentava un sinistro marittimo occorso, nell’aprile di quell'anno,
al comandante milazzese Vincenzo Buccafusca ed all’equipaggio del suo pinco,
tra gli altri i marinai Onofrio Maiorana e Giuseppe La Rosa. Di ritorno verso
il Porto di Milazzo, pur di salvarsi furono costretti dalle avverse condizioni
atmosferiche a gettare in mare 200 delle 2000 tavole di legname imbarcate in
Calabria (Bagnara), dopo essere partiti da Messina.
Il nominativo del comandante
e la mercanzia trasportata facevano intuire che quel capitano milazzese d’inizio
Settecento fosse un lontano antenato dell’omonimo imprenditore che oggi dirige
la storica rivendita di legnami di via XX Luglio, che negli anni Trenta del
Novecento disponeva peraltro di un piroscafo di proprietà, il “Siciliano”,
affidato al comandante Peppino Buccafusca, figlio primogenito dell'allora
titolare Francesco Buccafusca (1871-1935).
Ebbene, grazie alle
certosine e pazienti ricerche dello studioso Giovanni Lo Presti, condotte sia
negli archivi di stato civile che in quelli parrocchiali, è emerso in questi
giorni che quel Patron Vincenzo Buccafusca è proprio l’antenato diretto dell’attuale
titolare Vincenzo Buccafusca. Da patron Vincenzo, che a bordo del suo pinco
aveva imbarcato nel 1727 anche un nipote, la rivendita di legnami dei Buccafusca
fornisce Milazzo ed il suo hinterland da ben 300 anni. Di padre in figlio da
ben 10 generazioni. Una circostanza che fa di “Buccafusca Legnami” una delle
ditte più longeve d'Italia. Forse la più longeva in Sicilia. Un bel primato per
la nostra Milazzo.
Annuncio pubblicitario del 1938 ca.
Falegnameria e segheria della ditta Buccafusca in via XX luglio
Ditta Francesco Buccafusca, la segheria di via XX Luglio in uno scatto
del fotografo Trimboli risalente al 1938 ca.
***
Nell’aprile del 1727 Patron
Vincenzo Buccafusca è protagonista di un sinistro marittimo che coinvolge
l'equipaggio del suo pinco, tra gli altri i marinai Giuseppe La Rosa e Onofrio
Maiorana, nipote dello stesso Patron Vincenzo. Per salvarsi furono costretti a
gettare in mare 200 delle 2000 tavole di legname imbarcate in Calabria
(Bagnara), dopo essere partiti da Messina. Al rientro a Milazzo il naviglio non
riuscì ad entrare in porto, subendo per le avverse condizioni atmosferiche la
rottura «dell'antenna di maestra», circostanza che lo costrinse a ripiegare
verso Messina: fu allora che l'equipaggio fu costretto, pur di salvarsi, a
disfarsi di parte del carico di legname. Sabato 26 aprile 1727, finalmente, il
pinco fece il suo ingresso nel Porto di Milazzo (Archivio Storico e Biblioteca
"Bartolo Cannistrà" del Museo Etnoantropologico e Naturalistico
“Domenico Ryolo”, fondo marchesi Proto).
Non abbiamo altre
informazioni su Patron Buccafusca, eccezion fatta per una citazione da parte di
Domenico Barca, il memorialista dell’Assedio spagnolo di Milazzo del 1718/19.
Patron Vincenzo, che risiedeva - considerando la parrocchia di appartenenza -
tra la Marina Garibaldi e Porta Messina, odierna via Massimiliano Regis, si
rifugiò in un suo fabbricato del Borgo per sfuggire alle bombe. Così il Barca
nel suo Diario dell’Assedio:
«26 gennaio 1719 - Fra l’altre bombe disparate in città due creparono in
aria, l’una e l’altra nel Borgo vicino il convento di San Domenico, molti pezzi
delle quali fracassarono le case di padron Vincenzo Buccafusca e di Mariana
Bonaccurso, puoco distanti l’una dell’altra, entrando dalli canali e fenestre.
E benché fossero state terrane e picciole, piene di quantità di persone affollate
per necessità della guerra, non seguì danno alcuno di esse, ma precipitati gli
tetti e disfatto il mobile».
Scorrendo verso i giorni nostri
l’albero genealogico della famiglia Buccafusca, ci si imbatte in due
generazioni di “maestri”, mastro Paolo, nato dal matrimonio di Patron Vincenzo
con Antonia Maiorana, ed i suoi figli mastro Pietro, mastro Angelo e mastro
Vincenzo. Quest’ultimo in un’annotazione parrocchiale del 1818 dichiara di
essere lo zio paterno di Eutichio Buccafusca, nato nel 1774 ed indicato negli
atti di stato civile quale “pilota”, segno evidente che la tradizione marinara
in casa Buccafusca continua anche nell’Ottocento.
Il figlio ed il nipote di
Eutichio, ossia mastro Angelo e mastro Giuseppe, vengono indicati negli atti di
stato civile con la qualifica di falegnami. Si giunge così a Francesco
Buccafusca, figlio dell’appena citato Giuseppe, distintosi per lo spiccato
piglio imprenditoriale: titolare in
via XX Luglio di una segheria con annessi vasti depositi di legname, decise di
diventare armatore, acquistando a Genova un piroscafo di 1.850 tonnellate di
portata, il Princess Ena di
Liverpool, ribattezzato Siciliano.
Probabilmente tale nuova denominazione, identica a quella del piroscafo dei
Greco che alle soglie del Novecento navigò nel mar Nero al comando di Giacomo e
Giovanni Rizzo, rispettivamente padre e fratello dell’eroico Luigi, voleva
rappresentare un omaggio alla figura dello stesso capitan Giovanni Rizzo, che
verisimilmente nel 1932 s’interessò a Genova (dove risiedeva e dove ormai quasi
ottantenne era ancora in piena attività quale esperto perito assicurativo del Lloyd’s di Londra) della compravendita
del Princess Ena. Ed un omaggio
sincero era indubbiamente l’inserimento, da parte del comandante Peppino
Buccafusca (1900-1989), di una fotografia di capitan Giovanni Rizzo nel
proprio album di famiglia, tra le foto della moglie Gemma, dei figli e degli
affetti più cari.
Il comando del nuovo Siciliano venne affidato proprio al comandante Peppino Buccafusca,
primogenito dell’armatore Francesco. Col Siciliano,
che a volte veniva noleggiato, i Buccafusca trasportavano negli anni Trenta il
legname acquistato all’estero, legname che poi distribuivano perlopiù nei
comuni di Milazzo e Barcellona Pozzo di Gotto. Tali navigazioni durarono sino
al 1940, quando il Siciliano venne
requisito dalle Forze Armate per esigenze di natura bellica.
Il Siciliano dei Buccafusca (archivio Beppe Buccafusca, Milano).
Una bella foto scattata nel Molo Marullo a bordo del
Siciliano il
Il
comandante Peppino Buccafusca in mezzo ad amici e parenti a bordo del Siciliano il
Nel 1932, con l’acquisto da parte del padre del
piroscafo Siciliano, il salto di
qualità. Fu allora infatti che capitan Peppino avrebbe iniziato a dirigere un
nutrito equipaggio, tra i cui membri figuravano il primo ufficiale cap. Carmelo
Corso di Trapani, il capitano direttore di macchina Giuseppe Miuccio
(1896-1947) di Messina, coniugato con Giovanna Buccafusca (unica sorella del
comandante Peppino), il primo macchinista di La Spezia Osvaldo Badiali detto
Saverio, cognato dello stesso comandante Buccafusca, il nostromo trapanese
Francesco Barbera, detto «’u zù Cicciu», il capo fuochista Francesco Bonanno di
Messina, i fuochisti Domenico Aricò, Francesco Doddo e Natale Marchese di
Milazzo, il mozzo messinese Giovanni Donato, il cuoco milazzese Antonio
Calascione, il cameriere Giuseppe Fortuna di Genova e l’immancabile
membro dell’equipaggio di Vaccarella, un Cambria indicato con la qualifica di
“giovanotto”.
Il Siciliano dei Buccafusca nel molo
Marullo il
Con la morte di Francesco Buccafusca (1935), la
rivendita di legnami venne esercitata dal figlio Vincenzo, che a sua volta
l’avrebbe lasciata in eredità ai figli Ciccio e Lillo, quest’ultimo padre
dell’attuale titolare Vincenzo, sulle cui spalle gravano il peso e l’esperienza
di ben 300 anni di attività.
Francesco Buccafusca (1871-1935)
Il comandante Peppino Buccafusca con la moglie Gemma Badiali nel 1933
Vincenzo Buccafusca, classe 1901, assieme ai propri dipendenti
Testimonianza
depositata dal milazzese Giuseppe La Rosa nell’ufficio dei senatori
(amministratori comunali, ndr) della Sempre Fedelissima e Leale Città di
Milazzo in data 26 aprile 1727
«Dice esso testimonio, come uno delle marinari sopra
il pinco patronizzato da Patron Vincenzo Buccafusca, che lunedì che furono li
21 del corrente mese di aprile con il detto pinco si partirono da Messina con
detto Patrone e [segue termine non
leggibile causa minuscola lacerazione del foglio, ndr] e capitarono nella spaggia
della Bagnara verso hore 22 in circa, dove carricaro quattrocento tavoli. E la
mattina sequente, che furono li 22 del corrente, carricaro lo complimento di
due mila tavoli. E verso hore dieciotto si levaro di carico e si mesero alla
vela con detto pinco per sequitare il loro viaggio. Ed a ventitre del detto
mese dettero fondo a Torre di Faro e si manutennero sino alli 24 la notte. Ed abbrescendo la mattina, che
furono li 25 del corrente, si mesero alla vela e si partirono con vento
favorevole. Col quale vento si portarono sino alla praia di questa sudetta
Città [di Milazzo, ndr]. E verso l’hore
dieciotto delli 25 del corrente mese si cambiò il vento à segno di ponente e
libbici. E volendo fare forza per pigliare questa predetta città si rompio
l’antenna della maestra e foro forzati dal tempo di ritornare in Messina
un’altra volta, e li portò sino al Capo di Rasiculmo. E verso hore due di notte
del detto giorno 25 hebbero burrasche di greco e levante e con detto pinco
voltarono per venire in questa Città di Milazzo: e per il mare di ponente e
libbici e mare di greco e levante parea che volea sommergerli con detto pinco. Vedendosi
detto Patrone e marinari confusi furono di parere di buttare le tavoli a mare e
prima buttarono una gumina di due cantara in circa e poi duecento tavoli in circa. E sabbato,
che furono li ventisei del detto mese, abbriscero nel porto di questa predetta
Città, dove diedero fondo. E questo esso testatore lo sa, dice e depone come
marinaro del detto pinco ed anche per haversi ritrovato sopra il detto pinco
(…)».
Un pinco alle soglie del Settecento. Fonte: Recüeil des vuës de tous les differens bastimens de la mer Mediterranée et de l'Océan, avec leurs noms et usages, Chez P. Giffart, Parigi 1710 (esemplare in possesso della Biblioteca Nazionale di Francia).
Testimonianza
depositata dal milazzese Onofrio Maiorana nell’ufficio dei senatori
(amministratori comunali, ndr) della Sempre Fedelissima e Leale Città di
Milazzo in data 26 aprile 1727
«Dice esso testimonio, marinaro del pinco patronizzato
da Patron Vincenzo Buccafusca, che alli 21 aprile, lunedì, si partirono con il
pinco di detto di Buccafusca da Messina ed ad hore 22 in circa del detto giorno
arrivarono alla spiaggia della Bagnara. E la stessa sera carricarono quattrocento
tavoli e la mattina poi, che furono li 22 del detto mese, carricaro il
complimento di due mila tavoli. Ed a hore 18 in circa si levaro di carrico e si
posero alla vela per sequire il suo viaggio. Al 23 del detto mese dettero fondo
a Torre di Faro e si trattennero per insino alli 24 del detto mese la notte. Ed
havendo fatto giorno, che furono li 25 del corrente, si posero alla vela e si
partirono con vento favorevole. Col quale vento vennero sino alla praia di
questa sudetta Città [di Milazzo, ndr] e verso l’hore 18 delli 25 del corrente
mese si cambiò il vento a segno di ponente e libbici. E cercando fare forza per
prendere questa predetta Città, si rompè l’antenna della maestra e furono
forzati dal detto tempo di ritornare un’altra volta in Messina, e li portò sino
al Capo di Rasiculmo. E verso due hore di notte del detto giorno 25 hebbero
burrasche di greco e levante e con detto pinco voltarono per venire in questo
porto di Milazzo. E per il mare di ponente e libbici e mare di greco e levante
parveli che voleva sprofondare detto pinco. E vedendosi quasi persi il Patrone
e li marinari consultarono di gettare le tavoli a mare e prima gettarno una
gumina di due cantara in circa e poi duecento tavoli in circa. Sabbato, che
sono li 26 del corrente, abbriscero nel porto di questa predetta Città di
Milazzo, nel quale diedero fondo. E questo esso testimonio lo sa, dice e depone
come marinaro di detto pinco ed havendosi ritrovato di presenza in detto pinco
(…)».
Tavole di legname nel Porto di Messina in una suggestiva veduta di Jacob Philippe Hackert risalente al 1791.
Il commento
di Giovanni Ammendolia
Nato a
Messina nel 1958, dove vive, si è diplomato all’Istituto autico della sua città
ed è appassionato di mare sotto tutti i suoi aspetti. Da trent’anni effettua
ricerche ittiologiche e di biologia marina in generale, sfruttando soprattutto
il fenomeno dello spiaggiamento.
«Da quanto esposto si deduce che il pinco di Patron
Buccafusca, partito da Bagnara (RC), era carico di 2000 assi in
legno, consistenti con buona probabilità in lunghe e richiestissime tavole
di pino aspromontano (la zona forniva, e forse ancora fornisce, principalmente
questa essenza).
Come di solito avveniva ed avviene in questi casi,
dopo aver stivato il grosso del carico, parte di esso viene rizzato in coperta.
Questa metodologia, per sfruttare al massimo lo spazio disponibile, sposta il
baricentro verso l’alto, rendendo con mare agitato l’imbarcazione instabile,
anche se visto il carico è praticamente inaffondabile.
La lettura ci informa che la vicenda si svolge alla
fine del mese di Aprile, quindi Primavera inoltrata, condizione meteo per la
zona navigata di estrema instabilità con formazione di zone cicloniche locali
che creano “cerchi maneggevoli e contrari”.
Infatti, il pinco partito il 25 mattina da Capo Peloro
(ME) verso Ovest, diretto a Milazzo, si trova nella zona maneggevole del
circolo ciclonico, con vento favorevole, quindi Est o Nord Est debole moderato.
Quasi a destinazione si trova invece nella porzione contraria del circolo
ciclonico e tenta di fronteggiare il violento e contrapposto vento di SW che
l’avaria/rottura all’antenna o antennale, fortuna loro, evita la scuffia al
naviglio. In queste condizioni il mare diventa molto mosso ed è giustificabile
la scelta, dopo aver perso il cammino guadagnato riportandoli indietro fino
Capo Rasocolmo, di alleggerire la coperta filando a mare parte del carico. Alle
due di notte del 26 (il rapporto erroneamente ci informa del 25) il pinco,
sicuramente già alleggerito e più stabile, si trova nuovamente con vento
maneggevole, favorevole di NE ma burrascoso, con onda incrociata dal precedente
SW e quindi rifà rotta verso Ovest con latina di fortuna. Finalmente in
mattinata “abbrisceru intra o pottu i Milazzu” con 200 tavole ed altro in meno».
Due anni dopo il sinistro marittimo che coinvolse il
suo pinco, provocando la perdita di una porzione del carico di legname, il
milazzese Patron Vincenzo Buccafusca eseguì un trasporto di grani destinati
alla collettività. E lo fece con la sua imbarcazione denominata “S. Giuseppe e
S. Giovanni”, noleggiata per l'occasione alla Principessa di Villafranca,
signora del “feudo delli Mirij”, odierna Merì.
Caricò il grano, ben 220 salme, nel porto di Sciacca,
per poi scaricarlo in quello di Milazzo con destinazione Merì. In quel viaggio
qualcosa però andò storto. Il frumento, acquistato per sfamare la popolazione
meriense, fu contestato a destinazione e per questo Patron Vincenzo Buccafusca
fu imprigionato per qualche tempo nel Castello di Milazzo.
Patron Vincenzo non sapeva leggere e scrivere: la
polizza di carico venne infatti compilata a suo nome da un Gaspare Cozzo. Nel
1729 aveva 76 anni. Come attestano le certosine ricerche dello studioso
Giovanni Lo Presti era nato a Milazzo nel 1652. Sarebbe deceduto nel 1738.
«A 20 ottobre
1729 ottava indizione
Ha caricato
col nome di Dio e di buon salvamento nel caricatore di questa Città [di
Sciacca, ndr] Blasio Petrancosta, d’ordine dell’Eccellentissima Signora
Principessa di Villafranca, salme duecentoventi frumenti del raccolto prossimo
passato settima indizione [1728/29, ndr], della misura generale di questo
Regno, buoni, asciutti, netti e ben conditionati, non punti, non guasti, non
fetidi, né malitiati, buoni mercantibili e receptibili, sopra la barca di
Patron Vincenzo Buccafusca.
Dover quelli
detto patrone in questo suo presente viaggio, a Dio piacendo, condurre nella
spiaggia di Milazzo ed ivi consegnarle alla persona commissionata di detta
Eccellentissima Signora Principessa, per uso e provisione della sua Terra delli
Mirij, dell’istessa misura, bontà e qualità, con più le crescimogne vi saranno.
E fatta detta
consegna, in tutto come sopra in conformità della mostra di detti frumenti che
se l’invia in una quartara nova sigillata con ceralacca, se li dovrà pagare il
suo nolo, giusta la forma del suo contratto di noleggio allo quale unde. E
Nostro Signore l’accompagni per tutto a salvamento.
Io Gaspare
Cozzo mi sottoscrivo per nome e parte di detto patrone di suo ordine, per non
sapere scrivere unde.
Al sudetto
patrone se l’ha pagato a conto del suo nolo onze due, tarì tre e grana dieci.
Io Gaspare Cozzo».
La polizza di carico di Patron Vincenzo Buccafusca emessa a Sciacca
Ma cosa andò storto durante il trasporto? Apparentemente
nulla, visto che non vi furono contestazioni al momento del ritiro della merce.
Ma a non vederci chiaro era l’autorità militare di Merì, il governatore
Licandro, che richiese al Vice Portolano di Milazzo lo “scandaglio”, ossia il
controllo. Che mise in evidenza la crescita del peso del grano, la cosiddetta
“crescimogna”, ossia l’aumento naturale del volume del grano dovuto appunto
alla naturale tendenza ad aumentare di peso in presenza di umidità. Una
crescita di peso, rispetto al campione di grano consegnato a Sciacca dentro una
quartara a Patron Buccafusca, di ben 4 salme e 6 tumoli. E ciò malgrado lo
stesso Patron Buccafusca avesse gettato in mare una porzione del carico. Ma
quel che venne contestato a Patron Buccafusca era proprio il campione, la
cosiddetta “mostra”, che nella polizza di carico risultava sigillato con
ceralacca, mentre in verità era tutt’altro che sigillato. Da qui le accuse di
manomissione del campione stesso con conseguente arresto del Buccafusca,
imprigionato nelle celle del Castello di Milazzo, ma di lì a poco rilasciato
dalle autorità.
Benché la documentazione faccia genericamente
riferimento ad una “barca”, è ipotizzabile che il mezzo di trasporto del grano
fosse il pinco impiegato da Patron Buccafusca nel 1727 per il trasporto del legname. Ciò emerge in primo luogo
dall’ingente quantitativo della merce: 220 salme di grano equivalgono infatti a
ben 48 tonnellate. Se si fosse deciso d’imbarcare la merce in sacchi, piuttosto
che alla rinfusa, si sarebbero dovuti impiegare ben 960 sacchi da kg. 50
cadauno. Circa mille sacchi che non potevano certo trovare ospitalità su un
natante di piccole dimensioni. E’ ipotizzabile dunque che Patron Buccafusca
abbia impiegato nel 1729 lo stesso pinco con cui era stato costretto, due anni
prima, a sbarazzarsi di parte del carico di legname. Ciò trova conferma anche
in un documento in latino, quello stesso da cui si evince la denominazione del
naviglio (S. Giuseppe e S. Giovanni):
ebbene, in quest’atto, il mezzo di trasporto del grano viene indicato col
termine “vaxelli”, che rimanda inevitabilmente al pinco piuttosto che ad una
imbarcazione di modeste dimensioni.
«Relattio
Onofrius Masulla menzuratorij officij Regio Vice Portulani huius Fid.e C.tis
Mijlarum pres. cogn. capta cum iuramento supra infrascritti (…) dice esso
relatore che lunedì 31 del trascorso mese di ottobre 1729, ritrovandosi nello
scaro di Mirij fuori le porte di questa Città, assistente al scaricato e
consegna delle salme 220 frumenti portati da Patron Vincenzo Buccafusca dal
caricatore di Sciacca per uso e provisione di detta Terra di Mirij, s’ordinò
dal Vice Portulano ad instanza di Don Giuseppe Licandro, Governatore di detta
Terra, di farsi il scandaglio. Ed havendosi consegnato la somma di salme 80 in
circa, s’incominciò a pesare detto frumento. E fatti due scandagli con un mezzo
mondello, presente detto Patrone e con la presenza di detto Vice Portulano ed
altri officiali, si vidde nel peso essere più pesante quello frumento della
barca di quello della mostra. Ed essendo nell’ultimo di detta consegna, ad
instanza di detto Licandro, si fecero altre due pesate. E similmente detto
frumento della barca pesò più del frumento della mostra. Ed havendo già finito
la consegna ed havendo detto frumento dato di crescimogna la somma di salme 4
[e tumoli] 6 (come intesi dall’officiali), nonostante haver dato detto Patrone
il rivelo il giorno 28 di detto mese, quando venne in questo Porto, d’haver
buttato in mare qualche poco di frumento, non sapendo la somma. Pure intesi e
di giuditio e parere non esser la mostra l’istessa consegnataci dall’officiali
del caricatore di Sciacca. Dice di più esso relatore che havendo osservato la
quartara dove vi era la mostra del frumento, non la vidde suggellata con cera
et lacca, ma con sola ostia rossa, senza verun suggello. E’ per questo motivo
maggiormente si conferma nel giudizio di non essere di quella istessa maniera
che ci fu consegnata nel carricatore et che est relatio capta cum iuramento
loco et tempore valitura ut dicitur» (testimonianza simile fu rilasciata da
Domenico Foti e da Francesco Molino, rispettivamente, portulanotto e altro
misuratore dell’ufficio del Viceportolano di Milazzo, ndr).
«Die tertio
m.s novembris 1729
Magnifico
Signore Don Giuseppe Carrozza, Regio Vice Portolano di questa Fidelissima Leale
Città di Melazzo
Si espone e
supplica da parte di Patron Vincenzo
Buccafusca, esistente carcerato nelli carceri di questa predetta Città,
d’ordine di Vostra Signoria Magnifica, qualmente essendo stato noligiato con la
sua barca e marinari dall’Illustrissima Prencipessa di Villafranca di dover
caricare nel Caricatore di Sciacca salme duecentoventi di frumenti, misura
generale, conforme appare per atti di noligio dierum. Ed avendo caricato detti
frumenti per quelli portare in questa Città per la Terra di Mirij, presero
detto carico. E fatte tutte le sue espedizioni necessarij, una con la quartara
della mostra, la quale non si puotè sigillare con la cera di Spagna, more solito,
per essere l’ora assai tarda e non si ritrovava fuoco per liquefare detta cera,
assegno tale che per causa del tempo in una spiaggia soggetta a naufragarsi fu
forzato l’esponente far vela e prendersi la quartara conforme si ritrova, senza
esser sigillata, havendoci detto il maestro notaro di detto carricatore «andate
a fare il vostro ben viaggio e non habbiate pavora alcuna». Come in effetto
fece vela e proseguì il suo viaggio, havendo arrivato in questo Porto di
Melazzo giorni quattro in circa. E presentato il responsale a Vostra Signoria
Magnifica, si diede l’ordine di consegnare detti frumenti alla persona sommessa
di detta Illustrissima Prencipessa. E quello consignato senza ostaculo veruno e
con ogni douta soddisfazione, senza che havesse reclamato persona alcuna. Ciò
nonostante fu l’esponente, d’ordine di Vostra Signoria Magnifica, carcerato,
nonostante che dalla parte dell’esponente si prestava la pleggeria di fare
appurare e certificare il fatto della verità, conforme realmente passò. Intanto
si supplica la benignità di Vostra Signoria Magnifica, per non patire più
interessi, di doverlo escarcerare con la detta pleggeria, altrimente facendosi
(il che non si crede) si ha protestato e protesta di tutti danni, spesi ed
interessi et de omnibus alij à jure licitj, et permissij protestari come in
effetto la sudetta barca dell’esponente si trova nolegiata per la Città di
Messina di modo tale che patisce non ordinarij interessi et ita supplicat unde».
«Die tertio
m.s novembris 1729.
Iosephi
Vitali quondam Malci.rrij terrae Mirierum ad presens in hoc Milarum urbe (…) qualmente
sa esso testimonio che lunedi 31 del trascorso mese di ottobre 1729,
ritrovandosi nello scaro di Mirij fuori le porte di questa Città, presente
quando si scaricava e consegnava la somma delle salme 220 frumenti, che portò
Patron Vincenzo Buccafusca dal carricatore di Sciacca per serviggio della Terra
di Mirij, che s’ordinò dal Regio Vice Portulano, ad instanza del Sacerdote Don
Giuseppe Licandro, Governatore di detta Terra, di farsi il scandaglio. Ed
havendosi consegnato la somma di salme 80 in circa s’incominciò a pesare detto
frumento. Ed havendosi fatto due scandagli con un mezzo mondello, assistente
detto Patrone in presenza di detto Regio Vice Portulano e suoi officiali, si
vidde nel peso essere più pesante il frumento della barca di quello che vi era
nella quartara. Ed havendosi finito la consegna, ad instanza di detto di
Licandro si fecero altre due pesate. E similmente detto frumento della quartara
pesò più meno del frumento della sudetta barca.
Dice di più
esso testimonio havere inteso che il frumento portato da detto Patrone diede di
crescimogna salme 4.6. Dice di più esso testimonio havere inteso che quando
arrivò detto Patrone di Buccafusca in questo Porto disse haver buttato in mare
la somma di quattro o cinque salme di frumento. Dice di più esso testimonio che
si trovò presente quando si tagliarono li spacci dal Portulanotto dell’officio,
che legavano la sopra carta della quartara. E diligentemente havendo osservato
riconobbe non essere detta quartara suggellata con cera a lacca, ma piegata con
ostia rossa, senza verun suggello. Ed intese da detto Governadore che la polisa
di carico e lettere missive dicevano che la sudetta quartara era suggellata con
cera a lacca. Dice di più esse testimonio che il frumento di detta quartara era
abbassato da sei dita in circa, di maniera che il tappo era cascato sopra il
frumento e non legato alla carta. E sopra il tappo vi era un pezzo d’ostia
rossa, di maniera che detto testimonio è di fermo giudizio e parere che il
frumento che vi era in detta quartara non era l’istesso consegnatoci
dall’officiali del carricatore di Sciacca e che havessero bagnato tanto il
frumento della barca quanto quello della quartara. E questo esso testimonio lo
sa, dice e depone come quello che fu presente e vidde ed intesi le cose sudette
del modo detto di sopra (…)» (una testimonianza simile venne depositata da
Giuseppe Stracuzzi fu Antonino, residente in Merì, ndr).
«Die quinto
m.s novembris 1729
Franciscus
Trusino Dominici huius Fid. Urbis Milarum pres. cogn. (…) qualmente sa esso
testimonio che lunedi 31 del trascorso mese di ottobre 1729, ritrovandosi esso
testimonio nello scaro di Mirij fuori le porte di questa Città come uno delli
saccari che scaricava il frumento portato da Patron Vincenzo Buccafusca, per
serviggio della Terra delli Mirij, dalli marinari di detta barca li fu
consegnata la quartara della mostra data dall’officiali del carricatore di
Sciacca per portarla in terra, ed innanti il Regio Vice Portulano. E vidde esso
testimonio che detta quartara non essere suggellata con cera a lacca, ma
piegata con ostia rossa senza nessun suggello. E questo esso testiomonio lo sa,
dice e depone come quello che vidde detta quartara, sa le cose dette del modo
di sopra (…)»
Fonte: Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo
Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo”, fondo
marchesi Proto, manoscritti Viceportolano, vol. 3, ff. 9 e segg.
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